
La vicenda di cui si parla in questi giorni, ruota attorno alla figura di Alexey Navalny, il principale e più noto oppositore politico contemporaneo del governo Russo, il quale dopo mesi di prigionia in un carcere di massima sicurezza viene ritrovato morto in circostanze poco chiare. Navalny inizia la propria attività politica e il proprio attivismo nell’anticorruzione, cominciando ad interessarsi anche alla politica e volgendo critiche all’operato del governo.
Navalny, seppur per certi aspetti criticato viste le sue prese di posizione considerate nazionaliste e non in linea con il pensiero
democratico occidentale, aveva dietro di sé un grande seguito, soprattutto grazie alla sua grande presenza sui social, attraverso i quali aveva raccolto grande popolarità, finendo per diventare il più conosciuto e principale portavoce di un popolo oppresso nel silenzio.
Già in passato subisce vari arresti, fino all’ Agosto 2020, anno in cui rimasto vittima di avvelenamento classificato in seguito non tanto come incidente quanto conseguenza di un’azione volta ad eliminarlo, entra in un breve coma al quale segue una lenta e lunga ripresa in un ospedale tedesco. In seguito a ciò un suo ritorno in Russia sembra impensabile e non abbastanza prudente: è chiaramente nel mirino dell’élite politica Russa ed in primis di Putin.
Un suo ritorno non porterebbe di certo un esito positivo ma nonostante il
rischio, sceglie di tornare a bordo di un aereo proveniente da Berlino verso Mosca. Sulle piste però lo attendono agenti in divisa antisommossa che oltre ad arrestare simpatizzanti e tutti coloro che ne attendono il ritorno, accerchiano l’uomo arrestandolo nell’immediato. A seguito di ciò verrà aperto un falso processo tipico dei regimi, in cui l’esito è già stato scritto, il che lo porta a dover scontare una rigida pena commutata a diciannove anni nell’Agosto 2023.
Ad oggi la sua morte ha sollevato grandi dubbi e attacchi diretti al Cremlino per come un uomo, tutto sommato in salute, possa essere deceduto così all’improvviso e nel giro di brevissimo tempo. I dettagli esatti sono ancora per lo più sconosciuti, ma il governo si ostina a difendersi affermando si fosse trattato di morte naturale e che fosse ad un passo dall’essere liberato.
In uno dei suoi tanti discorsi, Navalny aveva già preannunciato in un certo senso la propria fine, mostrandosi quindi consapevole del pericolo a cui andava incontro, e rivolgendosi al proprio pubblico affermando che tale gesto avrebbe solo messo in evidenza la vulnerabilità dello stato e soprattutto la paura, poiché è attraverso la violenza che si cela la fragilità.
Navalny non è però il primo “martire” a spendersi e a sacrificarsi per la giusta causa, come avvenne anche nel caso della giornalista Anna Politovskaya la quale fu assassinata nel 2006 in seguito alle sue aspre critiche verso la “riedizione” del nuovo regime russo post- sovietico, mettendo al centro della propria discussione quel graduale avvicinamento e ritorno all’autoritarismo che il paese stava iniziando a mostrare.
Ora il testimone è stato preso da Julia Navalnaya, la quale riprendendo le battaglie del marito ha scelto di battersi contro un regime in cui la violenza è consustanziale all’esercitazione del potere, in cui non è possibile manifestare in modo sicuro e nel quale viene sempre proposta una visione distorta della realtà per non mostrare il vero volto e la vera piega che il paese ormai da anni sta intraprendendo.
Oggi, in Russia e all’estero, esiste una forte opposizione attiva, formata soprattutto da giovani nati in epoca post-sovietica e da coloro anche che sin dalla nascita hanno vissuto sotto Putin.
Si parla di un paese dove, nonostante la possibilità di virare verso una nascente democrazia, si è optato invece per il totalitarismo e dove i giovani non sono liberi di esprimersi o manifestare, basti pensare anche al caso di Olga Misik, condannata più volte agli arresti per aver letto la costituzione della Federazione Russa davanti ad agenti in anti sommossa, nel corso di una protesta pacifica.
Tutti questi elementi allineati tra loro, ci mostrano quindi come sia nata una dittatura della paura, in cui prevalgono propaganda, manipolazione e abuso di potere e nella quale al contempo di proposito non si cede neanche al minimo dubbio di vivere in una nazione non democratica.
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